Ho avuto occasione di leggere recentemente (in lingua originale) il libro “Ending Parkinson’s disease: a prescription for action” scritto da Ray Dorsey (medico e professore di neurologia presso l’università di Rochester), Todd Sherer (il neuroscienziato CEO della fondazione MJF che ha scoperto il collegamento tra pesticidi e Parkinson), Michael S. Okun (medico chirurgo, professore e direttore esecutivo presso l’istituto Fixel per le malattie neurologiche in Florida e pioniere della stimolazione cerebrale profonda (DBS)), e Bastiaan R. Bloem (medico, professore di neurologia, direttore del centro Radboud per i disordini del movimento in Olanda, e cofondatore di ParkinsonNet, il più esteso programma al mondo di cure integrate per la malattia di Parkinson).

I proventi derivanti dalla vendita del libro, edito nel 2020 da PublicAffairs, sono devoluti alla ricerca sul Parkinson.

Il libro è diviso in tre parti:

Nella prima parte gli autori tracciano dapprima la storia della patologia ed una sua descrizione, comprese le ipotesi più accreditate sulla sua eziologia. Procedono poi nell’ipotizzare che la sua esplosione negli ultimi anni (una vera pandemia) sia dovuta alla contaminazione ambientale dovuta alle attività antropiche che stanno trasferendo nell’aria, nell’acqua e nel cibo agenti neurotossici come quelli contenuti in alcuni pesticidi e metalli. Successivamente osservano come delle storie di battaglie che hanno portato risultati positivi come quelle contro l’AIDS ed il tumore al seno dovrebbero essere prese ad esempio per affrontare il più grande nemico: l’indifferenza.

Nella seconda parte gli autori descrivono “il patto” d’azione che vorrebbero attuare, fatto di prevenzione, di sostegno mediatico e nelle sedi opportune, di cure personalizzate e naturalmente di trattamenti sanitari specifici. Per quanto riguarda la prevenzione, l’alimentazione e l’attività fisica, a patto che non comporti traumi al capo, sono una necessità imprescindibile, e questo stato ampiamente dimostrato. Le persone di supporto (i cosiddetti caregiver), tipicamente familiari, sono fondamentali per la stabilità psicofisica del parkinsoniano, e vanno a loro volta sostenuti. Inoltre è importante capire che per ottimizzare l’efficacia del trattamento è necessario un approccio multidisciplinare, in cui neurologo, logopedista, fisioterapista, terapista occupazionale e psicologo (per citare solo alcune figure) collaborino insieme. Questo è il modello che offre ParkinsonNet dal 2004, anche, ma nono solo, utilizzando la telemedicina. Infine gli autori descrivono gli strumenti al momento utilizzati per rallentare il decorso della patologia, e le più promettenti ricerche in corso, incluse nuove formulazioni e sistemi di distribuzione della levodopa, vaccini che inducono il sistema immunitario a combattere l’alfasinucleina (la proteina degenere che si accumula nelle cellule nervose danneggiandole), il trapianto di nuovi neuroni dopaminergici, lo studio della composizione del microbiota e i suoi effetti, l’utilizzo di virus che trasportano geni in grado di trasformare il comportamento dei neuroni dopaminergici stimolandoli a produrre una proteina che reagisce alla luce, a sua volta introdotta tramite fibre ottiche (!) , il perfezionamento di tecniche chirurgiche come la DBS, e naturalmente tutto il lavoro di modifica dei geni specifici che causano un aumento della probabilità di ammalarsi (LRRK2 e GBA costituiscono degli esempi). Anche se sembrano esserci un gran numero di ricerche sul Parkinson, in realtà dall’avvento della levodopa, introdotta negli anni ’60, la ricerca non è progredita come avrebbe potuto. Una delle cause è costituita senz’altro dall’assenza di un biomarker, cioè di un indicatore semplice e misurabile dell’esistenza della malattia, del suo sviluppo, e quindi anche dell’efficacia dei farmaci. 

Nella terza e ultima parte gli autori forniscono un vero e proprio piano d’azione di cui riporto alcuni punti salienti: perorare la causa dell’abolizione dell’utilizzo dei pesticidi e dei solventi che si sono dimostrati dannosi; sensibilizzare la classe politica della necessità di decontaminare i siti inquinati, e proteggere coloro che vi lavorano. Tra questi alcuni punti facilmente attuabili sono quelli di dotarsi di un filtro a carboni attivi per l’acqua potabile, di mangiare sano, di sudare per eliminare le tossine e di participare alla ricerca.

A questo punto vorrei esprimere la mia opinione: la speranza che ho quando mi appresto a leggere un libro del genere è quella di apprendere qualcosa che non so, ed in questo caso sono stato esaudito. Ho scoperto le evidenze statistiche soverchianti della tossicità del tricloroetilene (TCE, un solvente), del Paraquat e del Clorpirifos (due pesticidi) e di come per motivi economici non siano ancora stati banditi nella maggior parte del mondo. Interessante è poi il caso dell’Olanda, l’unico paese europeo in cui i malati di Parkinson stanno diminuendo. Probabilmente ciò è collegato al fatto che è stato fra i primi paesi a bandire l’utilizzo del Paraquat, del DDT, del TCE e della dieldrina.

In conclusione questo libro è ben scritto, convincente e mi ha dato quel pizzico di dopamina necessaria per partecipare anch’io, con un mio piccolo contributo, ad un obbiettivo più grande e spero al più presto raggiungibile.

Ending Parkinson’s disease: recensione
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