I Bradirapidi®. Nessuno è escluso…(*)

Il bradipo ci rappresenta. È il nostro “totem”. Però attenzione: i bradipi sanno essere anche rapidi. Con l’occasione giusta. E allora… i Bradirapidi.

L’idea di introdurre il gioco con la palla ovale nelle attività dei malati di Parkinson nasce da due pazienti che da qualche anno fruiscono delle terapie riabilitative del Day Hospital Neuromotorio del S. Raffaele-Pisana di Roma. L’amicizia fra me e Gaetano – col quale mi era capitato di partecipare anche a un incontro dell’associazione WeAreParky – in principio è stato confrontare le nostre esperienze di vita, le difficoltà comuni, le nostre storie mediche e perché no, persino farmacologiche. La malattia di Parkinson, è cosa nota, coinvolge a più livelli lo stato psicofisico dell’individuo; per certi versi si potrebbe dire che ciascun malato è una differente “costellazione” all’interno della vastissima, e spesso mutevole, “Galassia Parkinson”. Così, scambiando i nostri passati, le impressioni, le aspettative, è emersa subito la spinta comune a organizzare (e organizzarci in) una qualche attività che avesse risvolti ed effetti proficui per la nostra patologia e per la maniera in cui la viviamo.

L’idea di utilizzare la palla ovale (il sottoscritto aveva giocato a rugby, anni or sono, a livello amatoriale) all’inizio poteva sembrare bizzarra: il rugby tradizionale è uno sport di contatto, il pensiero collettivo lo assimila – peraltro ingiustamente – agli infortuni e alla violenza. Noi però vedevamo già chiare le potenzialità di un’iniziativa del genere. In fondo era una metafora e insieme una sfida molto complessa: riuscire a gestire, anche solo a non far cadere a terra, un pallone dalla forma così inconsueta; il doverselo passare sempre all’indietro e intanto avanzare; l’impegnarsi a collaborare, fra compagni di gioco, per tenere un ordine, un ritmo e una velocità omogenei – questo, e molto altro, non riassumeva il complicato, a volte non a caso quasi “equilibristico”, giorno per giorno dei parkinsoniani?

E l’importanza sul piano psicologico e sociale del progetto: sui malati di Parkinson gravano i macigni della depressione, dell’apatia, della solitudine, della vergogna. Il parkinsoniano, messo all’angolo a più livelli dalla patologia di cui è vittima, ingaggia continuamente una battaglia, prima con se stesso e poi con l’esterno, per accettare la propria condizione e quindi per re-inserirsi in una dimensione collettiva.

In breve, abbiamo così escogitato una variante del rugby senza contatto: il Touch Rugby, molto diffuso specialmente in area anglosassone, in Australia e Nuova Zelanda. In questo modo è nata l’idea del Parky Touch Rugby® (vedi il regolamento ufficiale), un’attività in primo luogo ludica, semplice e divertente, ma che richiede al contempo l’acquisizione di vari skills (come passare e/o ricevere la palla ovale ad es.), acquisizione estremamente preziosa per i malati di Parkinson, poiché essa si esercita in via primaria sulla perdita degli automatismi neuromotori, tratto distintivo della patologia. Il Parky Touch Rugby® è inoltre inclusivo: non prevede requisiti di sesso o di età, e soprattutto contempla la partecipazione di soggetti con mobilità ridotta all’interno di dinamiche di gioco valide per tutti.

L’incontro col terzo “bradipo fondatore”, Marco – avvenuto sempre sullo sfondo “accogliente” e di vera eccellenza del DH Neuromotorio del S. Raffaele, diretto dalla d.ssa Annalisa Gison –, ci ha permesso di compiere il passo successivo. Marco, con esperienza fra l’altro nel settore delle risorse umane, subito coinvolto dall’iniziativa, ha saputo presto radunare varie persone, a loro volta malati, caregiver o famigliari di pazienti. A Marco dobbiamo pure l’azzeccatissimo nome del nostro gruppo: i Bradirapidi®. Si è poi aggiunto Roberto, altro paziente del S. Raffaele, con la sua voglia di fare e partecipare (d’altra parte i tre moschettieri non erano quattro?).

Il progetto va avanti. Ci riuniamo solitamente una volta la settimana sui prati di Villa Pamphilj (in attesa e con la speranza di trovare presto uno spazio dedicato a noi), e il numero dei partecipanti cresce a ogni appuntamento. Gli “allenamenti” si articolano in una fase di riscaldamento fisico e aerobico – con non ultima una serie di movimenti dal Tai Chi – guidata da Marco, in una fase “tecnica” con il pallone (gestione, passaggi, corsa, disposizione in campo ecc.) guidata da me, in una partita finale fra i presenti, e infine in una fase di defatigamento e stretching. Il tutto all’insegna del divertimento ma anche dell’attenzione – a migliorarsi e a essere utili ai propri compagni di gioco.

L’entusiasmo e la voglia di stare insieme con il pallone da rugby aumentano. Tra i partecipanti ora contiamo pure soggetti operati di DBS, e sono tra quelli più infervorati ed attivi. E molti seguono la cosa “a bordo campo”: sostenendoci e venendo ad assistere ai nostri incontri.

Proseguiamo con molti sogni ancora da realizzare, alcuni più “alti”, altri solo “prosaici”. Ad esempio che la ricerca si interessi al progetto del Parky Touch Rugby®. Che possa nascere un giorno una vera e propria Parky Touch Rugby Therapy. Che il gioco si diffonda in più città d’Italia e magari anche all’estero. Che le associazioni dei malati di Parkinson riconoscano il beneficio che viene da tale attività (per adesso ci incoraggiano Azione Parkinson e WeAreParky, che presto scriveranno di noi). Più banalmente speriamo di trovar quanto prima un patrocinio o una sponsorizzazione – un campo e/o una sede sono le nostre priorità.

Nel frattempo abbiamo i nostri loghi, i nostri stemmi e il nostro inno (al quale hanno lavorato anche le logopediste) e le maglie della squadra stanno per arrivare. Però, prima d’ogni altra cosa, siamo sempre più numerosi. E ci divertiamo.

Stefano Valente

 

(*) Questo scritto è stato stilato quando il nostro progetto era ancora in embrione. Da allora abbiamo fatto parecchi passi avanti, in un cammino che è ancora lunghissimo. Questo testo, tuttavia, anche con il suo “pionierismo” e le sue ingenuità, resta il nostro manifesto: la prima voce data ai nostri intenti e al nostro spirito.

en_US